Il Signore delle Mosche
Dopo una breve pausa dalle letture nelle pause natalizie, si riprende l’anno da dove si era lasciato. E come poter iniziare questo nuovo anno che speriamo sia carico di aspettative, dopo gli ultimi difficili anni appena trascorsi, se non parlando di sopravvivenza.
Il tema dell’uomo, o un gruppo di uomini, dispersi su
un’isola deserta è forse fin troppo inflazionato nella letteratura e nella cinematografia.
Ci sono degli esempi arcinoti come “Robinson Crusoe”, il famoso romanzo di
Dafoe, oppure “Cast away”, un grande classico per gli amanti del cinema, o
ancora per gli appassionati di serie tv e gente dispersa su isole lontane e
misteriose possiamo citare “Lost”.
Non si può dire che il libro di cui parlerò in questo
articolo sia un vero e proprio precursore, ma è sicuramente un romanzo che in
qualche modo ha fatto la storia di questo filone di racconti diventando un
classico del ‘900.
“Il Signore delle Mosche” di William Golding ci trasporta su
un’isola deserta con un accenno ad un disastro aereo e ad un conflitto mondiale
in corso non meglio specificato. Il fatto singolare è che da questo incidente
sembrano essere sopravvissuti solo i bambini. Il racconto inizierà con la
conoscenza di Ralph e Piggy, che deve il suo soprannome alla sua stazza
somigliante all’animale. Primo vero segnale che nonostante la situazione di
straordinaria emergenza certi meccanismi di scherno non spariscono anche al
peggiorare di alcune condizioni essenziali della nostra società. “Ma sono solo
bambini”, si è forse portati a pensare all’inizio. E credo che sia proprio
questo il punto dell’autore, nonostante il dover provvedere alla propria
sopravvivenza, nonostante siano effettivamente tutti solo bambini, il male, la
cattiveria e la paura che contraddistinguono le vite degli adulti non tarderanno
ad uscire fuori e prendere il sopravvento.
Alle nostre prime due conoscenze ben presto sotto il richiamo
di una conchiglia, eletta a simbolo del potere e del comando, si uniranno anche
altri sopravvissuti e insieme cercheranno di dare vita ad una civiltà
provvisoria senza adulti.
Scopriranno presto che non è così facile essere ligi ai
propri doveri e prendersi cura di quei bambini più piccoli che non sono in
grado di lavorare.
Il problema del cercare il cibo o alimentare il fuoco saranno
tra gli argomenti che creeranno i più grandi dissapori, con la creazione di due
vere e proprie fazioni. L’istinto della collaborazione che inizialmente fa
vincere la paura viene successivamente meno per ricercare la propria autorealizzazione
e il desiderio di comando, che anche in una situazione così estrema, prenderà il
sopravvento una volta che i nuovi abitanti si saranno abituati a quella
situazione che a mano a mano che passa il tempo sarà considerata sempre più la
nuova normalità.
Nella prefazione al romanzo sono molto interessanti le parole
che Stephen King ha dedicato a questa storia, frase che avevo letto già da
tempo e aveva fatto entrare di diritto questo libro nella mia personalissima
lista dei “libri da leggere”.
“Per me, ‘Il Signore delle Mosche’ ha sempre rappresentato
ciò per cui sono fatti i romanzi, ciò che li rende indispensabili. Dobbiamo
aspettarci divertimento dalla storia che leggiamo? Certo. Un atto
dell’immaginazione che non diverte è un atto decisamente mediocre. Ma deve
esserci di più. Un romanzo ben riuscito deve annullare il confine tra scrittore
e lettore, così che l’uno possa fondersi nell’altro”.
Oltre a condividere le parole dello scrittore penso che “Il
Signore delle Mosche” in effetti raggiunga questo scopo. È una storia non troppo
impegnativa che diverte, ma ha insito tra le sue pagine anche un messaggio
potente, che saremo in grado di comprendere se ci lasciamo trasportare dal
racconto diventando un tutt’uno con esso.
Come abitudine potete leggere il mio articolo anche su Quilianonline.it al seguente Link
Buona lettura.
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