Racconto - L'ultima letterina di Natale

Come il becco di un uccellino infreddolito che picchietta sul vetro di una casetta di montagna, così rimbombavano quei piccoli e svelti passettini tra i corridoi deserti della struttura immersa nella neve, nella lontana regione tra i ghiacci del nord.

Un curioso essere in miniatura, con addosso uno strano abito verde e un cappello a punta come le orecchie che spuntavano da entrambi i lati, correva a perdifiato agitando velocemente le sue gambette gracili poco allenate. E come potevano essere allenate d’altronde se durante il resto dell’anno l’unica attività che impegnava il loro proprietario consisteva nello stare seduto svogliatamente alla scrivania del suo ufficio in attesa del Natale.

L’elfo galoppava senza sosta stringendo in mano una letterina, l’ultima, di un bambino che gliel’aveva consegnata di persona insieme ai suoi sogni, per recapitarla direttamente a Babbo Natale. Chi meglio di un dipendente per assolvere tale compito. Ma, inspiegabilmente, o forse troppo spiegabilmente a voler essere maliziosi, tra la frenesia della serata e la negligenza che lo rappresentava, la lettera era rimasta nella tasca della giacca e non era stata protocollata insieme alle altre già nel sacco, insieme ai regali pronti a partire con la slitta di mezzanotte.

Il minuscolo cuoricino picchiettava contro la cassa toracica come se volesse uscire a farsi un giro. Non poteva deludere quel povero fanciullo, non il giorno di Natale. Anche perché, per un elfo sarebbe stato imperdonabile. Albert, un suo caro amico, diversi anni prima si era dimenticato di consegnare la lettera affidatagli da un ragazzino, rovinandogli la magia del Natale per sempre. Quello stesso ragazzino diventò una persona davvero orribile mentre Albert, licenziato in tronco, conobbe l’incubo della disoccupazione e ancora oggi sopravviveva con lavori saltuari e mal pagati.

Jacob non voleva fare la stessa fine di Albert. Era finalmente riuscito ad ottenere quell’importante lavoro, forse proprio grazie al posto lasciato dall’amico, ma ricordava bene quanto fosse difficile per un elfo trovare un impiego sicuro come quello, pagato tutto l’anno per lavorare pochi giorni. Non ne esistevano molti di lavori così e aveva quasi abbandonato la chimera di un impiego nel pubblico regno elfico dopo numerosi concorsi falliti, pur senza mai ricevere motivazioni troppo valide. Ma la fortuna aveva deciso di sorridergli presentandogli quell’opportunità e lui ci stava sputando sopra.

Ma non era tutto perduto, la slitta doveva ancora partire: erano le ventidue della vigilia di Natale. Un’ultima speranza riluceva in lontananza, una sola persona poteva toglierlo da quell’impiccio.

Fece capolino nella zona di caricamento dove c’era un gran fermento, centinaia di elfi correvano come pazzi a destra e a sinistra verificando che fosse tutto in ordine per l’imminente partenza. Jacob vide la slitta e il grosso sacco con i regali già caricato sul retro. Trasbordava, ma uno sarebbe tornato indietro se Babbo Natale non avesse saputo a chi darlo: il destinatario era scritto proprio su quella piccola lettera stropicciata.

Il colossale uomo panciuto, non ancora indossata la tipica divisa rossa, se ne stava stravaccato su una grossa poltrona di pelle sorseggiando un caffè dietro l’altro; ne beveva diversi prima di mettersi in viaggio, d’altronde sarebbe rimasto sveglio tutta la notte e ormai iniziava ad avere una certa età. Lappo, un elfo particolarmente indisponente e polemico, che Jacob non poteva sopportare, insinuava che il vecchio faceva uso di qualche trucchetto per reggere da solo certi ritmi. Ma nessun collega era disposto a credere alle sue cattiverie, anche se suscitò stupore quando più di una volta sostenne che gli abiti e la pelliccia che mostrava con tanto orgoglio venissero dalle renne ormai anziane e non più in grado di trainare la slitta, e il fatto che con questo Natale l’apparizione del suo nuovo soprabito coincise con la sparizione di due renne veterane, fece vacillare anche i più fedeli.

Jacob aveva quasi raggiunto il vecchio quando fu fermato da Ercolino. Non era il suo vero nome, ma tutti lo chiamavano così perché era un elfo con una stazza decisamente fuori dal comune.

«Devo vedere il capo», disse Jacob cercando di essere autoritario, anche se la sua voce tremolante tradiva la soggezione che provava nei confronti del collega. Babbo Natale senza dubbio si accorse di lui, ma non intervenne.

Allora il piccolo elfo continuò, «ho questa lettera da consegnare, è rimasta indietro, ma un bambino potrebbe rimanere senza regalo, sarebbe una disgrazia!»

Nonostante nessuno sembrasse prestargli attenzione, all’udire di quelle parole, per un attimo calò il silenzio nell’intero magazzino. Più di cinquecento elfi si fermarono all’unisono, sul posto, senza muovere un singolo muscolo, come congelati dal freddo polare, se non fosse che erano abituati a certe temperature vivendo tutto l’anno in quella gelida regione.

Neanche Ercolino sapeva più cosa dire, ma con il suo braccio oltremodo fuori misura per un elfo normale, continuava a sbarrare la strada a Jacob.

Passarono pochi secondi lunghissimi prima che l’uomo anziano, capostipite e simbolo per eccellenza del Natale lo degnasse finalmente della sua attenzione.

«Non sia mai!», gridò, «che un bambino rimanga senza regalo, proprio il giorno di Natale, non finché sarò io a occuparmi della consegna, fallo passare», ordinò al suo scagnozzo che con un grugnito liberò il passaggio. Timidamente allora Jacob si avvicinò porgendo la busta. Babbo Natale allungò la grossa mano per afferrarla, ma si ritrasse all’improvviso, inorridito, come se si fosse avvicinato ad un serpente mortalmente velenoso.

«Dannazione ragazzo non è protocollata, dov’è il timbro e l’autorizzazione alla partenza.»

Qualcuno nel salone sghignazzò, ma la maggior parte riprese semplicemente a lavorare alacremente come se non fosse successo nulla.

«Ma un bambino rimarrà senza regalo, questa letterina me l’ha affidata personalmente, non possiamo…»

«Non possiamo rischiare per un bambino solo, ci penserà la befana.»

«Ma non è possibile, deve accettarla.»

«Ragazzo mio, hai idea dei controlli che mi fanno? Sai cosa rischio a portare fuori di qui una consegna non autorizzata? Non posso permettermi che mi arrivi una cartella da pagare, già lo stipendio è misero con un solo Natale l’anno», liquidò con un gesto della mano il piccolo elfo ed ecco che tra Jacob e Babbo Natale si palesò nuovamente Ercolino.

«Dobbiamo farla partire, lei è Babbo Natale, un bambino piangerà per colpa sua!»

Nuovamente il gelo e il silenzio si ripresero la scena e, per la seconda volta in pochi minuti, tutti gli elfi presenti smisero perfino di respirare. Si sentì solamente qualche tonfo sordo, di elfi che cadevano svenuti a terra dallo shock.

Il vecchio si guardò intorno, migliaia di occhi lo fissavano increduli e terrorizzati. Mai nessun elfo aveva osato rivolgersi con quel tono di sfida e prepotenza. Il viso rotondo diventò rosso di collera come le sue vesti, strinse le mani nei pugni, digrignò i denti: era sul punto di esplodere. Jacob in quel momento voleva solo sprofondare e nascondersi per sempre, si era pentito di aver parlato nel momento esatto che lo aveva fatto. Quando sentì il peso della mano sulla spalla minuta ogni singolo ossicino dell’esile corpo tremolava come foglie al vento.

«Non sia mai ragazzo mio, vai in segreteria per farla protocollare, veloce, dì che ti mando io», gli sorrise, come gli aveva visto fare solo nelle migliori pubblicità e tornò a stravaccarsi sulla sua comoda poltrona di pelle, che le malelingue affermavano essere di renna proprio per la sua ineguagliabile morbidezza.

Riprese il trambusto per la preparazione della consegna dei regali e il piccolo elfo, senza pensarci troppo, si ritrovò di nuovo a correre a rotta di collo per i corridoi della struttura. I piedini si muovevano freneticamente uno davanti all’altro per ricoprire l’enorme distanza nel minor tempo possibile, anche se le scomode babbucce della divisa non gli facilitavano il compito.

Arrivò finalmente in segreteria dove non sembrava esserci nessuno. Suonò il campanello, urlò e sbraitò anche arrampicandosi sul bancone senza nessun risultato. Sentiva delle voci provenire dal retro, ma a quanto pareva nessuno era intenzionato a farsi vivo.

Dopo diversi minuti, finalmente comparì Esmeralda, la segretaria, una piccola ma attraente giovane elfa che portava in maniera adorabile degli occhiali squadrati sulla punta del naso, nei più classici dei cliché, ma si sa che gli elfi adorano le tradizioni e i luoghi comuni. Ogni volta che la incrociava Jacob si scioglieva come un budino al sole, ne era innamorato, ma in quel momento era talmente concentrato sul suo compito che non diede neanche importanza a quanto la divisa natalizia le donava risaltando le sue qualità. Ovviamente non era corrisposto neanche per sbaglio, perché lei era completamente presa dai muscoli di un altro elfo ben conosciuto: altro cliché.

Jacob le spiegò in fretta e furia tutta la problematica, mentre l’altra lo seguiva distratta. Afferrò infine la busta con la lettera e si fermò solo un istante prima di mettere il timbro.

«Manca la conferma dell’ufficio anagrafe.»

«Ma il bambino è vivo e vegeto, non me lo sono inventato, ho ritirato io personalmente la lettera!»

«Non posso fare niente caro, torna quando ce l’avrai, sai come funziona qui, ci controllano, monitoraggi cose così, non possiamo sgarrare, non il giorno di Natale.»

Incredulo Jacob si ritrovò a salire numerose rampe di scale, l’ascensore era guasto, come per buona parte dell’anno, quindi l’unica via percorribile era anche la più faticosa.

Gli elfi erano veri e propri maniaci dell’organizzazione, per questo motivo lo stabile aveva tanti piani quante le lettere dell’alfabeto e ad ogni piano si trovavano solamente gli uffici con la lettera corrispondente al numero.

Segnando il record personale sul tracciato, finalmente arrivò al ventiseiesimo piano, dove c’erano tutti gli uffici che iniziavano per “a”.

Ci mise un bel po' ad attirare l’attenzione del collega all’ufficio anagrafe, che tra uno sbadiglio, uno sbuffo e una grattatina si mise al lavoro. Per un attimo Jacob si era ritrovato a sperare che il bambino non esistesse, che si era sognato tutto, non c’era nessuna letterina da consegnare e lui poteva tornare alle sue normali mansioni, ma dopo un lungo controllo il collega gli confermò il nome del bambino con un bel timbro vistoso sulla busta. Nel tornare indietro l’elfo andò così veloce che non gli sembrò nemmeno di toccare gli scalini. Esmeralda lo aspettava con ansia, di tornare ai festeggiamenti, ma scrollando la testa gli disse che non poteva ancora fare nulla perché mancava il modulo di richiesta del regalo, dell’ufficio modulistica. Non prima di essere passato dalla ragioneria per l’autorizzazione del rimborso spese.

 

Arrivò defilato all’ufficio modulistica con uno scarabocchio a penna dell’elfo ragioniere. Qui Jacob dovette compilare a mano tre moduli uguali, non accettavano fotocopie, da riconsegnare personalmente ad altrettanti uffici, erano escluse le mail, niente poteva sostituire l’originale. Andò poi all’ufficio sicurezza dove controllarono la potenziale pericolosità del regalo in relazione alla salute del richiedente o di terzi possibili compagni di gioco. Passò anche dallo sportello ecologia per farsi confermare la conformità ai nuovi standard di ridotto impatto ambientale e ancora un paio di uffici di cui faticava a ricordare il nome e soprattutto l’utilità.

Dopo diversi piani di scale su e giù per la torre degli uffici, poté finalmente tornare da Esmeralda che questa volta, dopo avergli detto che il modulo andava bene, si ricordò che per i regali di Natale, era necessario anche inserire la richiesta all’ufficio statistiche. Fondamentale per confrontare i dati di questa festività con quelle passate e altre festività concorrenti. Non sia mai che a Pasqua vengano fatti più regali che a Natale, a suo dire sarebbe stato un disastro per tutti gli elfi. E no, anche solo per un regalo non si poteva fare uno strappo alla regola: controlli, rogne, sanzioni e cose varie. Se non altro, dopo la terza volta che la collega lo rimbalzava da un ufficio all’altro, Jacob iniziava a provare dei sentimenti meno limpidi verso di lei.

All’ufficio statistiche erano parecchio pigri, anche perché le elaborazioni venivano fatte diversi giorni dopo la festa, che fretta c’era di inserire un regalo proprio ora non riuscivano a comprenderlo. Jacob dovette essere convincente per far scomodare l’elfo addetto impegnato a guardare un classico film natalizio in tv e il fatto che centrasse qualcosa con una poltrona gli fece tornare in mente le allusioni di Lappo. Ci mise un bel po’ per convincerlo ad inserire il suo bambino nel file delle statistiche. Rischiò anche il linciaggio quando svelò il finale del film, dando per scontato che l’avesse già visto essendo una proiezione tipica di tutte le vigile da innumerevoli anni.

Intanto il tempo passava e la pesante macchina burocratica elfica stava ingarbugliando il povero Jacob. Dovette passare ancora in due o tre uffici tra autorizzazioni, moduli, modulini, scartoffie, timbri, timbroni e timbrini, avalli, firme e controfirme di controllo, contro controllo del controllo controfirmato. Ma alla fine, non senza fatica, riuscì a tornare da Esmeralda che con un grande sorriso, come se lo vedesse per la prima volta dopo tanto tempo, gli mise l’agognato timbro sulla busta. Stava quasi per scoppiare a piangere dalla commozione, ma non aveva tempo, magari l’avrebbe fatto più tardi. Mancavano cinque minuti a mezzanotte, Babbo Natale stava per partire. Al piccolo elfo cedevano le gambe, ma non poteva mollare proprio adesso, sarebbe stato come percorrere una lunga maratona, rimanere in testa tutta la gara e poi ritirarsi a meno di un chilometro dalla fine: impensabile.

Nuovamente i suoi piccoli e svelti passetti rimbombarono per i corridoi come delle gocce che insistentemente cadono nello stesso punto del pavimento, costanti, monotone e implacabili.

Tornato nel magazzino, se possibile, c’era ancora più confusione di prima, si fece largo tra i suoi colleghi che sgomitavano per godersi lo spettacolo in prima fila. Il portellone di uscita era spalancato sulla sconfinata distesa innevata lasciando penetrare un leggero nevischio sospinto dal vento gelido.

Le renne, agganciate alla slitta, erano disposte su due linee e attendevano ordinate e maestose il comando del loro padrone. Babbo Natale, impeccabile, sembrava solo un lontano parente di quello che fino a poco tempo fa era stravaccato sulla sua poltrona a bere un caffè dietro l’altro. Era in piedi sul predellino della slitta e salutava tutti con quell’aria paciosa che l’aveva reso famoso in tutto il mondo. Jacob iniziò a saltellare e spingere cercando di farsi largo tra la folla, ma più si agitava più si stringevano, come sabbie mobili. Sventolava la lettera in aria sperando che qualcuno lo vedesse, ma era tutto inutile, entro poco fu inghiottito e intrappolato nella calca. Si levarono grida di giubilo quando tutte le renne contemporaneamente si alzarono sulle gambe posteriori. Era il segnale. Stava per scoccare l’ultimo minuto della vigilia e l’uomo aveva preso posto ai comandi della slitta. Gli elfi erano euforici e cantavano e ballavano entusiasti. Quella notte l’anziano uomo vestito di rosso avrebbe portato i regali a tutti i bambini del mondo, come avrebbe fatto da solo in quell’impresa titanica e in così poco tempo sarebbe rimasto un mistero irrisolto nei secoli. Tutti i pargoli avrebbero ricevuto il loro regalo, vivendo ancora una volta la magia del Natale con la propria famiglia o con le persone a loro care. Tutti tranne uno. Un bambino talmente meravigliato per aver conosciuto, per puro caso, un elfo vero da voler affidare a lui la preziosa letterina da consegnare a Babbo Natale. Si credeva fortunato, ma ingenuamente non sapeva di aver mandato in fumo i propri desideri, grandi o piccoli che fossero, solamente perché si era fidato dell’elfo sbagliato. Quel bambino avrebbe imparato una lezione importante quel Natale, una lezione di vita al posto di un regalo.

Jacob era inginocchiato a terra mentre si copriva la testa con le mani per evitare di essere schiacciato tra le gambe dei colleghi festanti. Ormai era troppo lontano per fare qualsiasi cosa. Non ce la faceva neanche a guardare, a prendere coscienza del suo fallimento e delle speranze di quel bambino che rimanevano strette lì nel suo pugno, pronte a sgretolarsi. Ora i timori sul suo futuro lavorativo trovavano terreno fertile per insinuarsi e attanagliarlo nella morsa dell’insuccesso e della vergogna. Un cannone pronto a far fuoco, condannandolo ad essere ricordato come onta del mondo degli elfi. Che fine avrebbe fatto quando si sarebbe scoperta la sua mancanza non voleva immaginarlo. Le lacrime sgorgavano copiose e silenziose quando all’improvviso si sentì afferrare per la collottola della giacca della divisa consunta.

Stupore, incredulità ed impotenza nell’accorgersi che Ercolino l’aveva afferrato e sollevato sopra le teste di tutti gli altri dall’alto della sua prestanza. Si chiese se non fosse già giunto il momento della pubblica gogna.

«Ce l’hai fatta?», ringhiò il collega muscoloso.

Jacob si limitò ad annuire, senza fiato, quella presa lo stava soffocando, ma non avrebbe mai osato lamentarsi. Ercolino lo lanciò senza troppi complimenti facendolo atterrare faccia a terra ai piedi di Babbo Natale. L’uomo con un largo sorriso lo sollevò energicamente, aiutandolo a scrollarsi la polvere di dosso e darsi una sistemata. Persino il cappello era volato diversi metri più avanti.

Con gli occhi lucidi, esausto e senza fiato, ma con una incredibile soddisfazione dipinta sul volto, l’elfo porse la lettera a colui che realizzava, per un giorno l’anno, i sogni di tutti i bambini del mondo.

L’uomo afferrò l’incartamento, inarcò un sopracciglio e si massaggiò la folta barba bianca, pensieroso. L’atmosfera rimase sospesa per qualche secondo. Solo la gelida brezza proveniente dall’esterno fischiava incurante.

«Ah, bene, ecco di chi era quell’unico regalo senza destinatario», rise di gusto, seguito dal suo pubblico, mentre si reggeva il prominente stomaco con entrambe le mani, «rischiavi di farmi fare una figuraccia, perché non l’hai detto subito ragazzo mio, ti avrei fatto risparmiare un sacco di tempo.»








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