Racconto - Nowasteland, un mondo senza rifiuti

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Si è concluso anche quest'anno il concorso Scienza Fantastica 2020 organizzato dal Comune di Spotorno (Sv). Ho avuto il piacere di partecipare ed essere selezionato tra i sei finalisti (nel 2019 partecipai con il racconto "Nata sulla luna" già pubblicato sul blog), purtroppo non riuscendo però a classificarmi tra i primi tre premiati.

Mi fa comunque molto piacere condividere questa storia originale con voi, dato che il tema proposto era molto interessante e da me molto sentito. Come sempre mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate. 

Buona lettura.   



Nowasteland, un mondo senza rifiuti

 Da mesi non si parlava d’altro in città, l’annuncio ufficiale del sindaco aveva dato il via ai festeggiamenti. Nowasteland sarebbe diventata “la città più pulita al mondo”, così aveva proclamato, “abbiamo eliminato il 99,99% dei rifiuti”. Le persone erano euforiche e da giorni riempivano le strade festanti della città, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo a farmi coinvolgere, quelle parole si erano accalcate alle già tante domande sul destino dei rifiuti che affollavano la mia mente. A Nowasteland non si poteva dire che la gente fosse infelice; ci garantivano uguali diritti e i doveri erano inezie, per lo più dei passatempi. Ma c’erano alcuni misteri nella sua organizzazione che sembravano non importare a nessuno, tranne a me. Ultimamente gran parte delle mie elucubrazioni erano proprio dedicate allo smaltimento dei rifiuti. La prassi imposta dal governo prevedeva di buttare tutto quanto ormai inutile e inservibile dentro dei grandi bidoni di cui ogni famiglia era provvista. Degli enormi pozzi neri senza fine, un vuoto oscuro e infinito che mi affascinava, facendomi rimanere ore a fantasticare sulla loro destinazione. Non si conservava nulla, si buttava via tutto quello che aveva esaurito la sua utilità, nessuno ci dava importanza e soprattutto mia madre, presa da una sorta di ansia maniacale delle pulizie, era abile a far sparire qualsiasi oggetto inutilizzato da più di cinque minuti.

    Durante l’annuncio pubblico il sindaco aveva indetto una settimana di festa nazionale, con l’unico divieto di non uscire durante il giorno dell’alba dei bagliori, “pena l’espulsione immediata dalla città”, aveva sentenziato. Le sue parole rimbombavano nella mia testa da giorni, “fratelli miei, volgete lo sguardo al cielo e ammirate le fiamme della rinascita. La nascita di una nuova era per l’umanità. Il sogno dei nostri padri fondatori, un nuovo mondo, un mondo perfetto, un mondo pulito, senza rifiuti”.

    Da quel fatidico annuncio si erano moltiplicati per le strade degli insoliti personaggi che sembravano provenire da un altro mondo, uno in particolare stazionava ormai perennemente sotto casa mia e passava gran parte del tempo tra proclami e discorsi sconnessi. Quella mattina, però, sfinito dalle innumerevoli domande che mi ronzavano in testa non potei fare a meno di avvicinarmi a quello sconosciuto che sosteneva di conoscere la reale natura dell’uomo e la verità sui rifiuti. Parlava in modo strambo e ancora più bizzarri erano i suoi vestiti. Nonostante fosse malridotto, dalle sue parole scaturiva una forza e una energia che mi stupirono. Nessuno gli prestava la minima attenzione, come un fantasma che solo io potevo e volevo vedere. Sembrava leggere i miei pensieri, toccando tutti quegli argomenti che da tempo mi incuriosivano, a cui nessuno osava dare importanza.

    Mi presentai al cospetto di quell’anziano, che blaterava senza sosta gesticolando nel vuoto. Gli occhi erano ricoperti da una strana incrostazione nerastra e probabilmente non mi vide finché non fui a pochi centimetri. I vestiti ridotti a pochi brandelli sudici emanavano un odore acre e sgradevole. I radi capelli lunghi e sporchi, non curati, sembravano rimanergli attaccati alla testa per miracolo e le mani incrostate di sangue, con le unghie spezzate, così come i piedi luridi, completavano il quadro di quello scarto dell’umanità. Non avevo mai visto una persona così sbrindellata e non potei fare a meno di chiedermi come potesse un uomo arrivare a quella condizione nel paese della pace e dell’uguaglianza.

    Non sembrava essersi accorto della mia presenza finché, all’improvviso, mi rivolse la parola chinandosi verso di me, dando mostra del suo miglior sorriso malizioso e sdentato.

    “Se vuoi scoprire la verità su questo mondo e sapere dove finiscono i rifiuti...seguimi!”. Si fece forza su un bastone malconcio per reggersi in piedi e si incamminò senza attendere la mia risposta. Lo fermai.

    “E tu come faresti a sapere dove vanno a finire i rifiuti, nessuno lo sa”.

    “Perché io vengo da lì”.

    I timori non potevano arginare l’enorme curiosità, così mi decisi a seguirlo. Il vecchio zoppicante, e io dietro di lui, ci insinuammo attraverso strade e vicoli malfamati della periferia, che mai mi ero osato a percorrere prima. Mi era assolutamente vietato allontanarmi dal centro, ma me ne resi conto troppo tardi quando notai la netta differenza delle costruzioni e delle persone che a mano a mano si impoverivano, assomigliando più al vecchio che a me.

    “Dove stiamo andando?”, domandai cercando di interrompere quel silenzio che mi metteva a disagio.

    “Nel mondo vero”.

    “Mi sono già allontanato troppo, dovrei tornare indietro”.

    “La verità è molto lontana da qui”.

    Mi stoppai di colpo e lui fece lo stesso, poco più avanti, voltò la testa cercandomi con lo sguardo.

    “Ragazzino, se vuoi continuare a vivere la tua vuota vita, tra il benessere artificioso e questa esistenza effimera che ti è stata regalata non ti biasimo. Se mi seguirai e vedrai la realtà dell’umanità, se vedrai di cos’è stato capace l’uomo, se capirai davvero che fine farà il nostro pianeta, ti assicuro che non guarderai mai più niente con gli stessi occhi”, allargò le braccia per farsi guardare attentamente, dava l’impressione di crollare da un momento all’altro, “io stesso sono un cadavere che sta in piedi per miracolo, sono stato scartato da questa società perfetta, un rifiuto che nessuno si volta neanche a guardare, eppure sono più vero di tutte le persone con cui passi le giornate”.

    “Qual è la verità! Perché non me la dici e basta?”

    “Non crederesti mai alle mie parole, i tuoi occhi hanno bisogno di vederla”.

    Il vecchio riprese a camminare con il suo passo strascicato. La mia incontrollabile voglia di verità soffocava i brutti presentimenti. Quell’uomo proveniente da un altro mondo, a dispetto del suo aspetto malandato, era la risposta che aspettavo da troppo tempo per rischiare di perderla.

    Finalmente in un vicolo buio si fermò, limitandosi ad indicarmi una tetra scalinata apparentemente senza fine. Sentii l’inquietudine salirmi fino in gola, ma arrivato a quel punto e non sapendo come tornare indietro non avevo altra scelta che proseguire. Il sollievo di arrivare alla fine di quella lunga e faticosa discesa fu solo un istante effimero. Sbucammo in una stazione ferroviaria sotterranea dove il tempo sembrava essersi fermato un paio di secoli prima. C’era sporcizia ovunque e un marasma assordante. Molte persone si spintonavano tra grida e insulti per salire sul vecchio treno in sosta, mentre dalla locomotiva usciva un fumo nero che intossicava l’aria. Una quantità infinita di rifiuti pioveva copiosamente dal soffitto finendo nei vagoni aperti del treno.

    Il vecchio mi sorrise per la prima volta: “Eccoli i tuoi cari rifiuti”.

    Ero sbalordito. Tutto quello che la popolazione gettava, senza nessuna distinzione veniva semplicemente caricato su un treno diretto chissà dove. Immaginavo che questo fosse solo l’inizio e il vecchio sembrò leggermi nel pensiero invitandomi a seguirlo. Nonostante la confusione riuscimmo a farci largo tra la folla fino alla cima del convoglio. Salimmo sul primo vagone, uno dei pochi adibiti al trasporto delle persone. Era già pieno, ma ci ritagliammo un piccolo spazio in piedi. Si respirava a stento e non osai immaginare come se la potessero passare le persone negli altri vagoni. In qualche modo eravamo dei privilegiati. Ci fu un suono assordante, sul soffitto i tubi si chiusero interrompendo il flusso di rifiuti, la locomotiva fischiò e il convoglio iniziò pesantemente a muoversi sferragliando sui binari. Ero sicuro di essere diretto all’inferno.

    Non saprei dire quanto durò il viaggio, il caldo soffocante e l’odore insopportabile mi creavano dei pesanti giramenti di testa oltre ad annebbiarmi la vista. Mi sentivo svenire e mi veniva da vomitare mentre il vecchio rimase impassibile come se fosse tutto normale. Rimasi stretto tra centinaia di corpi svuotati delle loro anime, gli sguardi persi nel vuoto che conservavano solo un vago riverbero dell’umanità che conoscevo.

    Quando finalmente la carovana si fermò e vennero aperti i grossi portelli, divampò una luce cremisi accecante. Non vedevo nulla mentre venni spinto all’esterno dall’impeto della folla. Se possibile l’aria al di fuori era ancora più irrespirabile. Caddi sulle ginocchia, senza fiato. Boccheggiavo e venni scavalcato senza troppi riguardi. Nessuno sembrava avere le mie stesse difficoltà respiratorie. Il vecchio, con uno sforzo immane, mi afferrò per il braccio tirandomi in piedi.

    “Ti ci abituerai, i tuoi polmoni non sono abituati a respirare la verità”.

    Continuavo a tossire e le iridi mi bruciavano come se avessi due palle di fuoco in mezzo alla testa.

    “Vale lo stesso per i tuoi occhi, è come se fino ad oggi tu non li avessi mai usati”.

    Non avevo altra scelta che lasciarmi guidare nell’oscurità da quell’uomo malandato. Esausti, ci fermammo solo dopo una lunga camminata. Avevamo percorso diversa strada trascinandoci per sentieri ripidi e irregolari. Il suo stanco e malridotto corpo gli stava presentando il conto degli anni, lo sentivo ansimare per riprendere fiato. Qualche ombra iniziava a essere distinguibile. Gli occhi e la gola ardevano dolorosamente e non riuscivo a pronunciare nessuna parola senza tossire diverse volte.

    “Dove siamo?”

    “Siamo sulla montagna di rifiuti”.

    Mi sforzai ancora di più per aprire le palpebre e a fatica, finalmente, riuscì a guardarmi intorno. Il vecchio era seduto a gambe incrociate e scrutava l’orizzonte davanti a sé. Non credevo al mio stesso sguardo. Lo scenario che mi si parò davanti era ben diverso dalla città in cui avevo sempre vissuto. C’erano rifiuti ovunque, persino dove ero seduto ora. Spazzatura, oggetti vecchi e rotti, scarti di cibo. Qualsiasi cosa che i cittadini di Nowasteland abitualmente buttavano senza ritegno nei grossi tubi neri, era lì. Anni e anni di sprechi. In preda all’agitazione mi alzai di scatto, ma il poco ossigeno mi fece vorticare la testa e crollai a terra. Ancora immondizia e rottami. In un istante ne fui ricoperto. L’odore era insopportabile. Vomitai. I conati mi scossero da capo a piedi finché non liberai completamente la mia anima. In quel luogo, il lato contraddittorio dell’umanità lottava per la propria sopravvivenza, mentre pochi altri godevano di ogni agio e lusso, tanti altri annegavano negli scarti dei benestanti, me compreso.

    “Perché tutto questo?”, dissi tra i denti e la bile acida che mi riempiva la bocca.

    Il cielo di un nero carico d’odio sembrava una bocca di cannone pronta a spararci addosso. Solo molto lontano, nella stessa direzione in cui guardava il vecchio, uno squarcio azzurro rompeva quelle tenebre. Intravidi la sagoma della città di Nowasteland, come il miraggio di un mondo perfetto. Mi trascinai sui gomiti in mezzo a tutto quel sudiciume. Il mio volto e i miei vestiti erano impregnati di quella sostanza nera e appiccicosa che ricopriva ogni cosa.

    “Il giorno prima dell’alba dei bagliori è sempre il peggiore”, disse infine il vecchio dopo diverso tempo di silenzio. Lo raggiunsi, ma non ebbi né il coraggio né le forze di interromperlo.

    “C’è stato un tempo in cui l’uomo poteva davvero salvare il pianeta, ma questo richiedeva la collaborazione di ogni cittadino. Presto fu chiaro che il progetto di far ridurre ad ogni singola persona il suo personale spreco era irrealizzabile. A che scopo poi? Salvare il pianeta? A nessuno è mai interessato davvero. Ben presto capirono che per continuare a governare andava garantito un certo tipo di benessere alla popolazione, in modo da sedare qualsiasi tentativo di rivolta, bloccarle sul nascere: nessuno si ribella se è felice. Oggi ogni cittadino è anestetizzato dalla finzione, zero responsabilità e solo da godere della propria vita. Ma al mondo c’erano e ci sono ancora troppe persone per garantire uguali diritti a tutti. Quindi, semplicemente, le anime inservibili vengono buttate via, proprio come accade con i rifiuti, proprio come accadde a me. Vivi in una società apparentemente perfetta, con l’illusione che sia libera da qualsiasi ingiustizia. Una società basata sul principio dell’emarginazione, dove tutto l’indesiderato viene eliminato”.

    Ero senza parole, faticavo a credere alle mie orecchie, riuscii solamente a vomitare di nuovo in preda all’ansia.

    “E intanto la terra brucia, ma non importa a nessuno, il modo migliore per tappare gli occhi della gente è riempirgli le tasche. Oggi come allora l’uomo continua ad accumulare rifiuti semplicemente rimandando e nascondendo il problema. Fino a che sono troppi anche i rifiuti da ammassare, quindi decidono di bruciarli per ricominciare ad accumulare di nuovo fino alla prossima alba dei bagliori”.

    “È impossibile che l’uomo sia in grado di fare questo ai suoi simili”, sbottai furibondo, quell’uomo mi aveva portato in quel posto sperduto solo per raccontarmi una marea di stronzate. Ero fuori di me.

    “Giudica tu stesso. Per i tuoi simili non sono altro che spazzatura, neanche mi vogliono vedere se mi incrociano per strada. Potrei urlare, ballare, fare qualsiasi cosa, ma semplicemente mi ignorano, vi hanno abituati a non osservare la realtà. Domani daranno fuoco a tutto questo, condannando ulteriormente il pianeta ad una estinzione anticipata. Senza remore, perché niente di quello che finisce qui è degno di vivere, oggetto o persona che sia. Ormai è troppo tardi per salvarci, così come è troppo tardi per salvare il mondo. E allora tanto vale godersi la vita no?”, iniziò a ridere di gusto, una risata che mi fece scoppiare di rabbia, la collera irrazionale di un colpevole. Lo afferrai per il bavero della sua veste consunta, arrivando a un centimetro da quel volto decomposto, tanto che potevo sentire il suo alito fetido.

    “Dimmi la verità! Chi ha fatto tutto questo, perché nessuno ne parla, perché nessuno fa qualcosa”.

    “Dimmelo tu”, rise ancora di più alle mie parole. Non mi trattenni e gli sferrai un pugno sul volto. La sostanza nera di cui era ricoperto mi schizzò in faccia, non aveva più sangue in corpo, anche quello sembrava esser stato sostituito dalla sporcizia.

    Intanto il vecchio rideva senza sosta, lo raggiunsi e lo colpì di nuovo, e di nuovo, ma non accennava a fermarsi. Gli salì cavalcioni e lo afferrai nuovamente per il collo. Lo fissai in quelle palpebre incrostate. Lui sorrideva, io ansimavo. Avevo scaricato la mia ira ingiustamente, ma non smetteva di sorridermi. Provò a parlare, doveva costargli una fatica incredibile e le sue parole erano a malapena percepibili. Nonostante i miei colpi manteneva un’aria serena, mentre mi guardava con la sua espressione grottesca ma amichevole. Sputò ancora dalla bocca quella sostanza nerastra disgustosa.

    “Ragazzo mio…”, fece una pausa, il respiro corto, affaticato, “se cerchi il responsabile di tutto questo… non hai che da guardarti allo specchio”.

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